E niente, proprio non gli va giù.
Ad alcuni uomini proprio non va giù che ci sia una donna, magari giovane, a
occuparsi e magari impegnarsi nel grande mondo del movimento anti-‘ndrangheta
in Calabria.
Sì, lo so. Quello che sto per scrivere farà “mormorare” in molti,
ma un po’ per ridere ma molto sul serio, voglio condividere un pezzettino delle
tante cose che mi sono sentita dire e degli atteggiamenti vissuti- e subiti- negli ultimi dieci anni.
L’occasione è arrivata oggi,
quando l’uomo in questione, evidentemente a disagio dinnanzi all’ennesima
richiesta di silenzio da parte mia e dei suoi colleghi, probabilmente turbato
dal mio ricordare le vittime di ‘ndrangheta e il ruolo della memoria nella
didattica radicata nei territori… ha deciso di interrompermi con modi e parole
poco consone, diciamo così, al contesto in cui ci trovavamo. Rimproverandomi di
non essere in linea con le sue “aspettative” ha, casualmente, deciso di
contestare me e non il collega (adulto maschio) che mi aveva preceduto sulla
stessa linea.
Eh sì, una giovane donna che ti chiede di prestare attenzione, e
che magari se la prende pure l’attenzione, proprio non si sopporta.
Rigorosamente dandomi del “tu”, perché il prof si sa, è maschio. Ma io no, io
sono “la signora” o "la ragazza" e poco importa se magari, in modi e tempi diversi siamo anche
colleghi.
Ma di reazioni così, in questi
anni ne ho raccolte tante, dalle più ridicole alle più pesanti. In questo breve
bestiario vorrei condividerne alcune.
Da quella classica “ma chi te la
fa fare a fare antimafia, dovresti pensare alla famiglia”, che la risposta poi
è sempre la stessa- oltre alla gloriosa “fatti i fatti tuoi” - “stai
tranquillo, che penso io alla mia famiglia”.
E siccome poi, è necessario ricollocarci
nei ruoli “classici”, su tutte segnalo questo consiglio, (purtroppo però detto
da una donna) “tu, tu non devi fare così. Non devi prendere le cose così di
petto. Ma in fondo è così, è perché non sei mamma che reagisci così”. No,
reagisco così perché non riesco a stare zitta davanti alle ingiustizie e
scorrettezze. Magari è perché ho un brutto carattere, non perché non ho dei
figli.
Ma nella dinamica sempre viva tra ragione e
sentimento, come non ricordare tutte le volte in cui mi è stato detto “Sei
troppo emotiva” solo perché le delusioni a volte arrivano a ferirti, o ancora
“mamma mia quanto la esageri”, oppure “come la fai lunga” o ancora “sei stanca.
Devi prenderti un periodo di riposo, lo dico per te”. Caro mio, lo stai dicendo
per te, non per me.
Perché sì, se manifesti nero su
bianco il dissenso, o un disagio o una preoccupazione (rispetto a situazioni
oggettivamente gravi) le ragioni sono sempre legate al mio essere
irriducibilmente un corpo con una mente che non riesce a controllare l’emotività.
Sempre. Guai poi a far notare che magari qualcosa poteva essere evitato se solo
ti avessero ascoltato. Non c’è scampo, dare ragione non è virile, chiedere
scusa poi…. Non ne parliamo proprio.
Il classico dei classici è poi “Ma
lo sai con chi stai parlando?”, alla quale si può rispondere con un educato
“guardi, mi dispiace non so chi sia” o con un sano “non so chi sia, so solo che
è un grande maleducato”. E là, lo ammetto, la soddisfazione fa la differenza.
Altrettanto fastidioso è
l’atteggiamento paternalista... “ma che fai, in giro da sola?” oppure “tu sei
intelligente, brava, ma vivi le cose con troppo coinvolgimento”. Ora, io vorrei
proprio conoscere chi riesce a essere militante antimafia senza coinvolgimento,
chi riesce a essere appassionato senza esserlo. Se lo si è, distaccati e
freddi, facciamocene una ragione: non tutti abbiamo gli stessi obiettivi.
Poi ci sono quelli che ti
guardano malissimo se entrando in una sala piena di gente, magari qualche
rappresentante delle istituzioni – e in tanti anni si costruiscono relazioni
istituzionali formali ma alla pari- viene incontro per salutarti, educatamente.
E là si riesce a dare il via a tentativi di delegittimazione del
rappresentante- se proprio ancora dopo non li calcola- o come spesso, di chi ha
la colpa di avere costruito qualcosa nei territori. Perché anche qui,
l’eteroriconoscimento è tutto. Esisto perché ho qualcuno che mi riconosce, o
che almeno mi riconosce più di te, trentenne rompiscatole.
Poi ci sono i maestri per
eccellenza, quelli che in una volta, riescono a farti magicamente sparire come
se non esistessi, o non fossi mai esistita (né tu, nè il tuo operato). E qui
davvero ho visto magie senza pari: ho provato con metodo rigoroso, a dire
qualcosa, ottenendo nessuna reazione (se una non esiste, non esiste); ho
provato a far dire la stessa cosa a un uomo, oppure a una donna legittimamente
riconosciuta come figura: risultato, elogi alla grande, magnifica idea.
Provato.
Conseguenza, una
deresponsabilizzazione degna di nota. Dinanzi a fatti gravi e dinnanzi a una
esplicita richiesta di aiuto si può anche dire “Se ha bisogno di una amica che
le tiene la mano vai tu, io non sono suo amico”… ma quale mano? Quale amico?
Cari miei, io le amiche e gli amici me li scelgo da sola.
Ma siccome di relazioni di genere
si parla, ecco i non curanti (e ahimè le non curanti) delle situazioni
sentimentali che dicono “parli così perché sei gelosa” e di chi? E di che? Ho
detto che secondo me sta sbagliando in quella cosa, mica mi importa con chi la
stai facendo!
Poi ci sono le diversità di
trattamento. Per esempio, se io scrivo un libro “ha approfittato di questi anni
per farsi i soldi” se a scrivere un libro è un uomo “è un contributo importante
per la nostra terra”.
E poi diciamolo, una donna per
essere ascoltata deve dire meglio, per essere riconosciuta pubblicamente deve
fare meglio: sempre a dimostrare di essere all’altezza, di esserne capace, o
ancora di portare avanti quell’idea di purezza necessaria solo alle donne.
Perché se un uomo sgomita e fa carte false lo fa perché ci tiene, se lo fa una
donna, perché è ambiziosa.
Al confine tra tutto ciò si
collocano le descrizioni sulla persona, e per una come me che porta avanti
l’idea estrema dell’essere femminile nella sfera pubblica, non passano
inosservate le battute del tipo “ma come sei truccata, chissà quanto tempo ci
hai messo, certo che ne hai di tempo”. Tantissimo tempo, vorrei rispondere, tempo
da perdere proprio. Per non parlare degli accostamenti al maschile “sei forte
come un uomo” e mi viene sempre da rispondere “no, sono forte come una donna”,
oppure l’intramontabile “sei proprio una donna con gli attributi” e là la
risposta è sempre quella. “sì, ho delle grandi ovaie”. E calano silenzi
imbarazzanti.
Al di là dell’ironia, posso
assicurare che ho riportato fatti realmente accaduti. Cari maschietti, fatevene
una ragione. Esisto, e come me siamo in tante. Se vi dà fastidio che ci poniamo
alla pari, o che come spesso accade tra le persone, ne sappiamo più di voi, o
ancora che abbiamo ruoli riconosciuti, o che a volte abbiamo ragione, che
abbiamo costruito tanto…il problema non è nostro. E non è nemmeno vostro. Non è
un problema. Si può vivere, e tanti altri uomini ce lo dimostrano ogni giorno,
impegnandosi ognuna e ognuno nel suo, tranquillamente. Non è necessario che
abbiate un controllo su di noi, e nemmeno su di voi. Ho parlato di un caso
estremo, come quello del fare antimafia, ma lo stesso vale per ogni impegno
nella sfera pubblica. Perché sono sicura che tante giovani donne un po’ col
sorriso e un po’ no, si sono riconosciute in questo post: nel lavoro, nella
politica, nell’impegno civile.
Certo, sto parlando di una bella
minoranza. Per uno che si comporta così, altri cento, vengono a chiederti
scusa, sinceramente. Come è accaduto oggi. Perché se esiste quel modello, è per
fortuna- o meglio dire- grazie a tutte le lotte quotidiane delle donne, assolutamente residuale. Ma vale la pena
raccontarlo, soprattutto in questi giorni in cui genere e generazione vengono
usate come parole strumentali a altri fini. E mentre scrivo guardo in tv la
serie “la mafia uccide solo d’estate”, che con magistrale ironia, decostruisce
immaginari e modelli mafiosi. Anche di genere. E come chiudere questa
riflessione se non con quello che lo zio dice a proposito della nipote “lei, è
strana. È femminista. Ma poi ci passa!”.