La rotta...

La cosa più importante per chi non ha potere è avere almeno un sogno
Da "La terrazza proibita" di Fatima Mernissi

mercoledì 17 gennaio 2018

Era il 19 gennaio del 2014, e facemmo una promessa.




Era il 19 gennaio del 2014, e facemmo una promessa. La promessa di un impegno, la promessa di raccontare, parlare, di denunciare. La promessa che avremmo fatto qualcosa per questa terra, amara terra di Calabria. Ne ho scritto una sola volta, qualche giorno dopo, con parole che rileggo ora a fatica, e che sì, sono pugni dritti nello stomaco.  

Da subito lo abbiamo capito, Nicola Campolongo- dobbiamo ora avere il coraggio di dircelo- poteva essere salvato. E questo peso enorme io, nella responsabilità che allora vivevo come referente provinciale di Libera e prima ancora come cittadina calabrese me lo sono sentita, e me lo sento ancora, premere forte sul petto. Perché sì, non viviamo in una società sana, non viviamo in un territorio libero, non viviamo se permettiamo che un bambino di tre anni possa essere intenzionalmente ucciso in una guerra di ‘ndrangheta. 
Le domande che scrivevo del 2014 hanno trovato amare risposte durante il processo, alla luce di dichiarazioni e testimonianze che altro non hanno confermato:  Nicola era considerato come lo scudo umano da parte di chi avrebbe dovuto amarlo incondizionatamente. E fa rabbia, tanta rabbia rendersi conto che se le cose avessero funzionato, se istituzioni competenti fossero intervenute, se chi stava vicino se ne fosse reso conto, Nicola adesso sarebbe ancora vivo. 

Ma quel giorno abbiamo fatto una promessa, che avremmo continuato a lavorare come stavamo facendo da tempo- ed è giusto adesso non negare anche questa storia- per attivare percorsi di trasformazione, crescita di questo territorio così poco nominato come l’Alto Ionio Cosentino. E così è stato. 
Ci abbiamo creduto, abbiamo fatto fatica a restare, abbiamo battuto i pugni su tavoli istituzionali e su tavolate informali. Abbiamo progettato, formato, abbiamo creduto che il cambiamento potesse passare da un segno importante e reale. A me ad un certo punto, è stato impedito di esserci, di esserci fisicamente, ma non ho mai smesso. Abbiamo urlato quando abbiamo potuto, e abbiamo fatto urlare soprattutto i nostri silenzi. Ho versato lacrime di paura, ma poi lacrime di gioia davanti a una firma finalmente posta. Anche quando sembrava tutto inutile non abbiamo smesso. Anche quando quel segno ci è stato tolto e ci siamo trovati smarriti dinnanzi alla solitudine e a scelte che mai comprenderemo. In una terra lontana costruendo ponti, ho versato lacrime di rabbia e di delusione. E la tentazione di buttar tutto all’aria, e di lasciar perdere. 

Ma quel 19 gennaio ho fatto anche un’altra promessa. Avrei continuato a parlare di Cocò- perché così lo avremmo poi sempre chiamato- ovunque, ovunque mi sia capitato di poter avere parola. E ancora. Ho promesso che saremmo stati noi- quel noi vero, quella comunità di memoria di cui sono parte- i familiari di Cocò. Perché sapevamo che quel sentire dentro di noi era un legame forte con questa terra, un legame non spiegabile che lega la memoria all’impegno. E così, non potevamo lasciar perdere, perché gli occhi grandi e scuri di Cocò sono stati la spinta, la motivazione, quel “ne vale la pena” che fa andare avanti.
Nessuno lo ha scritto, nessuno ne ha fatto notizia. Ma quei quasi 90 ragazzi che hanno fatto veramente domanda per partecipare ad un percorso formativo per la progettazione su un bene confiscato alla ‘ndrangheta hanno compiuto un atto rivoluzionario. Così come tutti coloro che nonostante tutto, nel silenzio, in quel territorio ci son stati prima e ancor più dopo quel 19 gennaio e dopo le delusioni e le ferite delle possibilità mai diventate speranza. Persone che ci sono ancora, e che a fatica costruiscono. A me ancora viene impedito di esserci fisicamente – con motivi per altro, altamente discutibili – ma non ho mai smesso di crederci, di trovare piccoli spazi per raccontare, condividere, fare memoria. 

Rimane la rabbia, perché anche dopo la morte di Cocò, dopo l’interesse che il resto del mondo – Papa compreso- ha avuto per questa vicenda ancora qui si fa fatica. Si fa fatica a restare insieme, a costruire, a scegliere da che parte stare. Si fa fatica persino a aggiungere la parola anti-’ndrangheta quando si organizzano le manifestazioni.

Io faccio fatica, perché quel peso sul petto a me è rimasto, e fa male. Perché sento di non essere stata in grado di mantenere quelle promesse come avrei voluto. Ma continuo a crederci.
Ora che c’è bisogno di fiducia, di possibile che diventa speranza e realtà. Continuo a crederci perché so che c’è chi non guarderà sé stesso riflesso nello specchio mediatico, so che c’è chi agisce e vive in Calabria pensando a Cocò, a tutte le vittime innocenti della ‘ndrangheta. Perché solo così, ripartendo da quei legami con le storie, con le persone, quel sentirsi parte, sentirsi familiari, potremmo sognare di costruire percorsi di liberazione e di libertà. 

Lezioni di antimafia Sconfiggere la mafia. Chiunque può fare qualcosa
 Il diritto di avere diritti in Calabria
27 marzo 2017

Il diritto di avere diritti. Radio Popolare

sabato 6 gennaio 2018

Buon 2018 tutto da scrivere...



Io scriverò 

perché a volte ho mostrato anche i denti

perché non potevo vivere altrimenti

io scriverò sul mondo e sulle sue brutture

sulla mia immagine pubblica e sulle camere oscure

sul mio passato e sulle mie paure.

(Rino Gaetano, Io scriverò) 

Ci penso da qualche tempo, ci penso da quando era diventato un peso che ricordava delusioni e dolori. Ci penso quando tutti intorno ti ricordano che devi produrre di più per superare asticine immaginarie intorno alle quali stiamo costruendo le nostre vite di ricercatrici precarie. 
Ci penso per forza, da un pò. In molti me lo hanno ricordato, e vi ringrazio.
Ma scrivere vuol dire riconoscersi serene e tranquille di quello che si decide di mandare come messaggi, nella bottiglia. 
Quella serenità e sicurezza che mi sono lasciata portar via da logiche che mai capirò, e che mai giustificherò. Sono stata ferma sei lunghi mesi, e li ho attraversati tutti. 
Ora ci riprovo, perchè ci sono donne che come me corrono coi lupi che me lo hanno ancora una volta ricordato. Scrivere, perchè è il nostro modo di raccontare, di cambiare narrazioni e di trasformarci, come sempre, partendo da noi. 

Buon 2018 tutto da scrivere...