La rotta...

La cosa più importante per chi non ha potere è avere almeno un sogno
Da "La terrazza proibita" di Fatima Mernissi

giovedì 25 aprile 2019

Caro Nonno, se fossi qui, oggi ti racconterei....



Caro Nonno,
come ogni 25 aprile mi ritrovo qui a pensare a come la memoria della nostra liberazione possa essere tradotta in pratiche, idee, azioni. E come ogni 25 aprile penso a cosa ti racconterei, sei fossi qui, a cosa vorrei dirti sulle nostre vite, le nostre terre, il nostro futuro.

Se fossi qui, oggi, ti racconterei quanto sia difficile costruire memoria in una terra che sembra avere la memoria corta, che sembra dimenticare il sacrificio di chi come te, partendo da lontano, ha lottato per la nostra libertà. Ti racconterei che in questa provincia la memoria istituzionale del 25 aprile sta venendo meno, facendo del male alla nostra bella Costituzione.

Ti racconterei che tante sono le persone che costruiscono accoglienza e solidarietà, come le persone che accolsero te, affamato ed infreddolito nelle montagne piemontesi. Ti direi che anche questo sono pratiche di resistenza.

Ti racconterei  che, anche qui nel paese in cui sei nato è vissuto, c’è chi continua a costruire odio e divisioni rimanendo fermi e guardando al passato. Ma c’è chi continua a credere nella democrazia, rivendicando spazi di dissenso.

Ti racconterei della bellezza di aver scelto di restare in Calabria, della consapevolezza di voler restare e costruire. Ti racconterei della fatica quotidiana del creare legami, del credere nella possibilità di essere e fare comunità, del mettersi insieme per costruire, mettendo da parte egoismi e inutili fardelli.

Ti racconterei della rabbia che nasce dal vedere ingiustizie, sopraffazioni e rassegnazione. Di quel potere che si insinua nelle vite ma soprattutto, ti racconterei,  di tutte le vie di fuga, le possibilità e le alternative che si costruiscono silenziosamente.

Ti racconterei di quanto siano belle le tue montagne, di quanti si battono per difendere i nostri splendidi luoghi dalla violenza di chi non li ama.

Ti racconterei di quei genitori che muoiono lottando per conoscere la verità ed avere giustizia per i propri figli, di come le loro storie siano moniti per chi crede alla necessità della lotta per la liberazione dalla ‘ndrangheta. 

Ti racconterei di figli emigrati, allontanati da una terra che memoria non ha. Ma ti racconterei della passione di chi ha promesso un impegno, di chi non si è arreso, di chi va avanti lottando, testimoniando, crescendo.

Ti racconterei che lo studio e la ricerca rimangono sempre più spazi di resistenza, strumenti per chi ha scelto di non essere superficiale, ma di andare a fondo per comprendere, denunciare e proporre.

Ti racconterei delle donne del sud, che continuano a credere nella possibilità della felicità, scegliendo di liberarsi dalla violenza maschile e maschilista, di vivere le proprie vite autodeterminando scelte, corpi e pensieri.

Ti racconterei di chi porta il tuo nome con orgoglio, vivendo con serietà e passione la difficile professione medica, scegliendo di restare in Calabria.

Ti racconterei di mio padre, che non smette mai di ricordarci che “il nonno ha lottato per la libertà e la democrazia. Vale sempre la pena di lottare!”.

Ti racconterei della vita che verrà e di quanta emozione ci sia nei nostri occhi pensando alla responsabilità di dover trasmettere i tuoi valori e il desiderio di libertà.

Buon 25 aprile, partigiano Eugenio Garofalo,
buona lotta per la libertà.

venerdì 8 marzo 2019

25 anni di "Le donne, la mafia". Grazie Renate Siebert.




L’8 marzo 1994, 25 anni fa, viene pubblicato “Le Donne, la mafia” di Renate Siebert.

“Voglio comprendere a partire da un punto di vista di donna e voglio dare voce alle donne che per un motivo o per un altro si sono trovate invischiate in faccende di mafia. Cerco di unire l’ascolto dell’esperienza soggettiva della mafia con un’analisi teorica” (Siebert, 1994 p. 17). Con queste parole, si diede inizio a un nuovo percorso di studio, riflessione, impegno nato all’indomani delle stragi di mafia degli anni novanta.
Un testo, che è insieme esperienza soggettiva, analisi profonda della realtà mafiosa, dialogo con la teoria: una ricerca che racchiude la forza rivoluzionaria dell’utopia che non ha paura di andare in profondo, di ripartire - come la stessa Renate Siebert scrive con Assia Djebar - dalle ferite.
Ferite che parlano di morte, angoscia e violenza, del potere mafioso che annulla diritti e libertà, di quella “banalità del male” che “devasta il tessuto democratico della società”. Diritti e libertà ottenuti dalle donne con fatica nei contesti occidentali, e negati nei contesti di signoria territoriale delle mafie, laddove la lotta per il riconoscimento della propria individualità diventa un atto rivoluzionario.
Attraverso l’analisi del quotidiano, Renate Siebert lavora altresì sulle implicazioni soggettive, sulla dimensione “etica della nostra convivenza quotidiana, con un fenomeno che volendo o no ci riguarda tutti”. E proprio perché ci riguarda, è necessario comprendere le conseguenze che la costruzione di un immaginario mafioso implica sulle donne, rafforzando ruoli e aspettative, condizionando le vite nella  dialettica, smascherata in  questo testo, tra Eros e Thanatos. E’ infatti in  questa ricerca che, per la prima volta, si mette a fuoco questo semplice movimento – fatto di scelte, complicità e rotture - tra la vita e la morte, tra l’amore e la violenza, tra la vita e le mafie.
Tutto ciò è costantemente attraversato dall’imperativo etico del “non dimenticare”, della memoria che diventa pratica, che diventa legame: “Credo che sia importante costruire solidarietà con le donne vittime di mafia. Dobbiamo insieme rompere i silenzi e dare sempre più voce a loro, non lasciarle sole, ricostruire le loro storie, costruire una memoria storica dei loro gesti, mettere a fuoco la loro soggettività”.
A 25 anni di distanza, questo libro è il riferimento per tutte coloro che in questi anni hanno voluto leggere le mafie rimanendo fedeli a questo metodo, a questo stile. Un “classico” di un’attualità e di una necessità che lascia senza parole. Perché non solo Renate Siebert ha dato vita a una nuova prospettiva, ma ha dato dignità  a una nuova attenzione verso le donne, che in questi anni è diventata tensione costante tradotta in percorsi, scelte e modalità di lotta che hanno attraversato lo stesso movimento antimafia. Leggere oggi “Le donne, la mafia” ci costringe a ribadire con forza la necessità di affrontare lo studio alle mafie ripartendo dal quotidiano, di affiancare le vite delle donne che muovendosi tra Eros e Thanatos, scelgono di vivere.

Chi scrive non può tacere l’importanza che questo testo ha avuto nella propria vita. Quella necessità di fare ricerca – perché sì, è una necessità se si vuole lottare per il cambiamento senza adeguarsi alla superficialità di analisi in cui stare sicure - e di rimanere fedeli a metodo, stile e rigore. Parole che hanno influenzato la mia vita da ricercatrice, ma ancor più di donna calabrese. Perché quando ci si sente parte di una storia, quando si ha la meravigliosa possibilità di riconoscersi allieve e di avere Maestre, quando non ci si sente sole, allora tutto - la lotta, lo studio e la ricerca - continuano ad avere senso.
Non è questo il luogo per approfondire oltre: ci saranno luoghi e strumenti accademici per rendere omaggio a “Le donne, la mafia” e a questi 25 anni di studio.
Questo pezzo vuole essere solo un pensiero di gratitudine profonda verso Renate, la mia Maestra, verso questi anni di accompagnamento e di crescita, da donna, da ricercatrice, rimanendo sempre attente alla tensione - a noi cara - verso il “poter essere”.