La rotta...

La cosa più importante per chi non ha potere è avere almeno un sogno
Da "La terrazza proibita" di Fatima Mernissi

venerdì 8 marzo 2019

25 anni di "Le donne, la mafia". Grazie Renate Siebert.




L’8 marzo 1994, 25 anni fa, viene pubblicato “Le Donne, la mafia” di Renate Siebert.

“Voglio comprendere a partire da un punto di vista di donna e voglio dare voce alle donne che per un motivo o per un altro si sono trovate invischiate in faccende di mafia. Cerco di unire l’ascolto dell’esperienza soggettiva della mafia con un’analisi teorica” (Siebert, 1994 p. 17). Con queste parole, si diede inizio a un nuovo percorso di studio, riflessione, impegno nato all’indomani delle stragi di mafia degli anni novanta.
Un testo, che è insieme esperienza soggettiva, analisi profonda della realtà mafiosa, dialogo con la teoria: una ricerca che racchiude la forza rivoluzionaria dell’utopia che non ha paura di andare in profondo, di ripartire - come la stessa Renate Siebert scrive con Assia Djebar - dalle ferite.
Ferite che parlano di morte, angoscia e violenza, del potere mafioso che annulla diritti e libertà, di quella “banalità del male” che “devasta il tessuto democratico della società”. Diritti e libertà ottenuti dalle donne con fatica nei contesti occidentali, e negati nei contesti di signoria territoriale delle mafie, laddove la lotta per il riconoscimento della propria individualità diventa un atto rivoluzionario.
Attraverso l’analisi del quotidiano, Renate Siebert lavora altresì sulle implicazioni soggettive, sulla dimensione “etica della nostra convivenza quotidiana, con un fenomeno che volendo o no ci riguarda tutti”. E proprio perché ci riguarda, è necessario comprendere le conseguenze che la costruzione di un immaginario mafioso implica sulle donne, rafforzando ruoli e aspettative, condizionando le vite nella  dialettica, smascherata in  questo testo, tra Eros e Thanatos. E’ infatti in  questa ricerca che, per la prima volta, si mette a fuoco questo semplice movimento – fatto di scelte, complicità e rotture - tra la vita e la morte, tra l’amore e la violenza, tra la vita e le mafie.
Tutto ciò è costantemente attraversato dall’imperativo etico del “non dimenticare”, della memoria che diventa pratica, che diventa legame: “Credo che sia importante costruire solidarietà con le donne vittime di mafia. Dobbiamo insieme rompere i silenzi e dare sempre più voce a loro, non lasciarle sole, ricostruire le loro storie, costruire una memoria storica dei loro gesti, mettere a fuoco la loro soggettività”.
A 25 anni di distanza, questo libro è il riferimento per tutte coloro che in questi anni hanno voluto leggere le mafie rimanendo fedeli a questo metodo, a questo stile. Un “classico” di un’attualità e di una necessità che lascia senza parole. Perché non solo Renate Siebert ha dato vita a una nuova prospettiva, ma ha dato dignità  a una nuova attenzione verso le donne, che in questi anni è diventata tensione costante tradotta in percorsi, scelte e modalità di lotta che hanno attraversato lo stesso movimento antimafia. Leggere oggi “Le donne, la mafia” ci costringe a ribadire con forza la necessità di affrontare lo studio alle mafie ripartendo dal quotidiano, di affiancare le vite delle donne che muovendosi tra Eros e Thanatos, scelgono di vivere.

Chi scrive non può tacere l’importanza che questo testo ha avuto nella propria vita. Quella necessità di fare ricerca – perché sì, è una necessità se si vuole lottare per il cambiamento senza adeguarsi alla superficialità di analisi in cui stare sicure - e di rimanere fedeli a metodo, stile e rigore. Parole che hanno influenzato la mia vita da ricercatrice, ma ancor più di donna calabrese. Perché quando ci si sente parte di una storia, quando si ha la meravigliosa possibilità di riconoscersi allieve e di avere Maestre, quando non ci si sente sole, allora tutto - la lotta, lo studio e la ricerca - continuano ad avere senso.
Non è questo il luogo per approfondire oltre: ci saranno luoghi e strumenti accademici per rendere omaggio a “Le donne, la mafia” e a questi 25 anni di studio.
Questo pezzo vuole essere solo un pensiero di gratitudine profonda verso Renate, la mia Maestra, verso questi anni di accompagnamento e di crescita, da donna, da ricercatrice, rimanendo sempre attente alla tensione - a noi cara - verso il “poter essere”.