La rotta...

La cosa più importante per chi non ha potere è avere almeno un sogno
Da "La terrazza proibita" di Fatima Mernissi

mercoledì 2 novembre 2016

“Buon impegno per la libertà”




“Pronto”
“Buongiorno, sono Sabrina Garofalo, cercavo… Tina Anselmi”
“Sono io…”
Nei miei anni di impegno associativo il tema della lotta per la libertà è sempre stato trasversale e presente in ogni iniziativa. E così che un bel po’ di anni fa, insieme a un gruppo “sovversivo” interno all'associazione di cui facevo parte, decidemmo di metterci a cercare un contatto con Tina Anselmi, per avere con lei un momento di confronto e di formazione (eh sì… è sempre stato un mio cruccio) sui temi della partecipazione e della liberazione da ogni forma di potere. Dopo aver cercato negli elenchi ufficiali, sui siti istituzionali, un po’ per gioco, un po’ per curiosità decidemmo di cercare il numero in quel luogo che ormai sembra antico: l’elenco delle pagine bianche. Anselmi Tina, Castelfranco Veneto. C’è un numero, provo. 
E’ lei che mi risponde, io balbetto, so di avere dall'altro capo del telefono un pezzo importante della storia, della mia storia. La sua voce mi accoglie, parliamo della iniziativa che volevamo organizzare, e da lì parliamo delle giovani donne, della partecipazione associativa come forma di impegno politico, della democrazia. 
Vivo il grande privilegio dell’insegnamento, e ho la possibilità di raccontare questa storia alle studentesse e agli studenti del corso di Sociologia generale. Parlo della storia delle donne, della contro-narrazione necessaria se si vuole conoscere e andare alle radici della democrazia, della libertà. Mostro loro le foto delle partigiane, leggo loro le loro testimonianze, come queste parole di Tina Anselmi :
“Mi hanno chiesto di fare la staffetta e, quando la Resistenza è esplosa con tutta la sua forza, con la bicicletta facevo centoventi chilometri ogni giorno. Una delle conseguenze della guerra era un'usura fisica. Eravamo consapevoli che se l'Italia non avesse partecipato ai processi di Liberazione del nostro Paese avrebbe avuto delle conseguenze negative. Quando De Gasperi andò a Parigi per tutelare gli interessi dell'Italia disse agli Alleati che non era vero che tutta l'Italia fosse fascista; c'era un'Italia che combatteva per la libertà, che voleva conquistarla insieme agli alleati. Era difficile potersi salvare. Chi era disposto a rischiare la propria vita, il proprio futuro pur di offrire aiuto agli alpini, artiglieri, agli ex prigionieri? Chi si prestava per salvare questi giovani, che erano poi i nostri compagni di scuola, i ragazzi con i quali avevamo combattuto sino a pochi giorni prima? Se volevamo provare il rischio della risurrezione, i partigiani salivano in montagna più per salvare noi che loro stessi. Quei giorni e mesi sono stati terribili, dolorosi, li abbiamo vissuti non sapendo mai se un domani avrebbero rappresentato per noi la libertà o una fuga, che ci permetteva però di guardare al domani con più speranza. Bisognava scrivere la parola «fine»! Noi, come partigiani, c'eravamo assunti il compito di scrivere questa parola. Fine alla guerra, fine ai combattimenti, alle torture, fine ai dolori e alle tragedie che si vivevano nei nostri paesi. Tutto questo lo abbiamo voluto, l'abbiamo pagato, perché questo potesse realizzarsi.”
Sono incuriosite e incuriositi, non conoscono questa storia. Domandano, parliamo della Resistenza, dei giovani calabresi partiti per lottare contro il fascismo, da qui verso le Alpi. Le ragazze cambiano lo sguardo, spero intuendo che se sono sedute tra quei banchi, lasciando le loro famiglie nei piccoli paesi dell’hinterland catanzarese, è anche per giovani come Tina.

C’è un filo che lega il passato, a questo presente, che passa attraverso quella telefonata. Dal micro al macro, come sempre. C’è quel legame storico, quella eredità che ci sentiamo addosso, c’è quel pezzo di storia da portare avanti con determinazione. C’è la storia della nostra democrazia, della nostra Costituzione. Oggi pensare a Tina Anselmi, proprio oggi poi in Calabria, ha il sapore della amarezza più profonda. 

Come ci siamo arrivate a questo punto? Me lo chiedo, e ce lo chiediamo in molte. 

C’è l’umiltà profonda, (non quella che è sinonimo di mortificazione verso gli altri) di una donna con la sua storia che risponde al telefono, che si scusa mille volte per non poter venire in Calabria perché “non sto molto bene”, c’è la cura, attenta della scelta delle parole di incoraggiamento, di augurio, di speranza verso una lotta che ormai è nostra. Sentirmelo dire da lei, lo assicuro, è esperienza che ancora commuove. Da giovane, da donna, da nipote del partigiano Eugenio Garofalo. 

“Buon impegno per la libertà”, mi salutò così… non lo dimenticherò mai.
“Anche nei nostri paesi abbiamo voluto ricordare qualcosa che io credo debba avere un valore per sempre: se vogliamo non rivivere queste tragedie dobbiamo esserci, non c'è altra strada. Se vogliamo che la democrazia cresca nel nostro Paese, dobbiamo tutti partecipare a questa crescita, a questo cambiamento. Se ci siamo vinceremo nel nome della libertà e della pace” Tina Anselmi

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