La rotta...

La cosa più importante per chi non ha potere è avere almeno un sogno
Da "La terrazza proibita" di Fatima Mernissi

mercoledì 21 novembre 2018

Una "sospensione"che fa male.





Ricordo bene quando al termine di un pranzo conviviale e gioioso ci comunicò di aver ricevuto una proposta, una di quelle sulle quali riflettere insieme, una di quelle che ti cambia la prospettiva, ma che – finalmente - ci dava la possibilità di contribuire dall’interno. Con Carlo Tansi ne abbiamo fatte di cose. 
Nell’allora coordinamento territoriale di Libera a Cosenza avviammo un percorso serio e concreto sui reati ambientali, formandoci insieme, lavorando come matti. Affiancati e affidandoci a una competente equipe di ricercatori e tesisti abbiamo presentato esposti e denunce seguendo quel bellissimo principio in base al quale, la ricerca scientifica può (e deve) essere messa a servizio del territorio e del bene comune.  Lo abbiamo fatto, firmando esposti e costruendo rete, aspettando risposte dalle istituzioni, diffondendo sui mezzi di comunicazione e di informazione con l’obiettivo di informare, per far conoscere, per poter distinguere.  E quante persone abbiamo fatto innervosire… come quando abbiamo rischiato di prendere le botte a Paola, o quando qualcuno andò a fermarlo su una frana a Spezzano…

Ne parlammo e lui accettò,  consapevoli dall’inizio che sarebbe stata molto  dura, quasi impossibile…ma sapendo di poter portare in Regione Calabria quello stesso stile di impegno che aveva caratterizzato gli anni precedenti. Con ruoli e situazioni differenti, ma con lo stesso obiettivo: rendere più bella la nostra terra. E la passione non è mancata, anzi, come nemmeno sono mancati i momenti di scoraggiamento. In silenzio mai, ma ad alta voce – e con ogni  mezzo urlando dissenso sempre però proponendo soluzioni, alternative e scelte possibili. La sospensione “al novantesimo” che Carlo Tansi ha subito certo fa riflettere. Fa anche male - mi permetto di dire - alla nostra terra che ha tanto bisogno di persone competenti. Il dissesto idrogeologico è causa di morte, e siamo stanchi di vivere nella costante emergenze di qualcosa che viene poi dimenticato. Non c’è tempo di stare dietro a cavilli, interpretazioni, strategie e giochi. C’è in gioco il futuro della nostra terra, e a me non va di scherzare.
Dimostrare solidarietà su un social è troppo facile, ma serve anche questo. E serve poi però affiancare scelte serie e lavorare affinché chi come Carlo Tansi ha lavorato senza un attimo di tregua in questi anni, possa continuare a dare il proprio prezioso contributo. Io da amica continuo a condividere lo stile, l’impegno e la serietà, ma lo faccio ancora di più da cittadina calabrese.  Consapevoli anche che una “sospensione” non ci ha mai fermato.


sabato 27 ottobre 2018

Per non dimenticare Barbara e il suo desiderio di libertà.




Seduta nel mio soggiorno, guardo la schermata Skype. Attendo il collegamento con Amelia, magnifica cittadina umbra. Oggi è 27 ottobre, ed è una di quelle date che ormai scandiscono il tempo che scorre in un richiamo costante al nostro impegno. 
Il 27 ottobre Barbara Corvi è sparita, 9 anni fa. Sono emozionata, avrei voluto essere là, perché lo sappiamo quanto è importante “starci”, fisicamente. Ma questo collegamento Calabria-Umbria è simbolicamente altrettanto forte. 
Quella di Barbara è una storia che richiama alla memoria tante storie di donne, che del potere maschile e maschilista, del potere di tipo ‘ndranghetistico sono state vittima. Richiamare alla memoria per noi significa tanto. Significa lasciare che il ricordo diventi rivoluzionario, significa riconoscere il valore politico di chi trasforma il dolore privato in un atto politico, pubblico.
E’ per questo che non si può smettere di chiedere verità per Barbara. Non possiamo non farlo. Non dobbiamo farlo. Perché fare memoria di Barbara è fare memoria della vita, della libertà, del suo sorriso. Lo hanno scritto le organizzatrici dell’iniziativa: “Per non dimenticare Barbara e il suo desiderio di libertà”. Nelle foto diffuse in questi giorni Barbara è sempre sorridente. 
Barbara amava la vita, Barbara amava. 
Sparire e scomparire sono verbi che etimologicamente sono il contrario di apparire, di comparire. Chi ha fatto sparire Barbara voleva renderla invisibile. Non lo sanno invece, che la forza delle donne che di lei costruiscono memoria e chiedono verità ha reso ancora più visibile la sua bellezza, il suo sorriso, il suo desiderio di libertà? No, non lo sanno. Non lo sanno che facendola sparire hanno reso quel desiderio di libertà ancora più forte. Siatene certi. Se il vostro intento era quello di annullare una donna, avete perso. Barbara non c’è, ma il suo desiderio di libertà non lo fermerete mai.

martedì 4 settembre 2018

Mario ci lascia uno stile


Mario Congiusta non ci lascia solo una grande eredità, Mario ci lascia uno stile


Le mie parole per ricordare un caro amico



https://www.articolo21.org/2018/08/mario-congiusta-non-ci-lascia-solo-una-grande-eredita-mario-ci-lascia-uno-stile/

mercoledì 17 gennaio 2018

Era il 19 gennaio del 2014, e facemmo una promessa.




Era il 19 gennaio del 2014, e facemmo una promessa. La promessa di un impegno, la promessa di raccontare, parlare, di denunciare. La promessa che avremmo fatto qualcosa per questa terra, amara terra di Calabria. Ne ho scritto una sola volta, qualche giorno dopo, con parole che rileggo ora a fatica, e che sì, sono pugni dritti nello stomaco.  

Da subito lo abbiamo capito, Nicola Campolongo- dobbiamo ora avere il coraggio di dircelo- poteva essere salvato. E questo peso enorme io, nella responsabilità che allora vivevo come referente provinciale di Libera e prima ancora come cittadina calabrese me lo sono sentita, e me lo sento ancora, premere forte sul petto. Perché sì, non viviamo in una società sana, non viviamo in un territorio libero, non viviamo se permettiamo che un bambino di tre anni possa essere intenzionalmente ucciso in una guerra di ‘ndrangheta. 
Le domande che scrivevo del 2014 hanno trovato amare risposte durante il processo, alla luce di dichiarazioni e testimonianze che altro non hanno confermato:  Nicola era considerato come lo scudo umano da parte di chi avrebbe dovuto amarlo incondizionatamente. E fa rabbia, tanta rabbia rendersi conto che se le cose avessero funzionato, se istituzioni competenti fossero intervenute, se chi stava vicino se ne fosse reso conto, Nicola adesso sarebbe ancora vivo. 

Ma quel giorno abbiamo fatto una promessa, che avremmo continuato a lavorare come stavamo facendo da tempo- ed è giusto adesso non negare anche questa storia- per attivare percorsi di trasformazione, crescita di questo territorio così poco nominato come l’Alto Ionio Cosentino. E così è stato. 
Ci abbiamo creduto, abbiamo fatto fatica a restare, abbiamo battuto i pugni su tavoli istituzionali e su tavolate informali. Abbiamo progettato, formato, abbiamo creduto che il cambiamento potesse passare da un segno importante e reale. A me ad un certo punto, è stato impedito di esserci, di esserci fisicamente, ma non ho mai smesso. Abbiamo urlato quando abbiamo potuto, e abbiamo fatto urlare soprattutto i nostri silenzi. Ho versato lacrime di paura, ma poi lacrime di gioia davanti a una firma finalmente posta. Anche quando sembrava tutto inutile non abbiamo smesso. Anche quando quel segno ci è stato tolto e ci siamo trovati smarriti dinnanzi alla solitudine e a scelte che mai comprenderemo. In una terra lontana costruendo ponti, ho versato lacrime di rabbia e di delusione. E la tentazione di buttar tutto all’aria, e di lasciar perdere. 

Ma quel 19 gennaio ho fatto anche un’altra promessa. Avrei continuato a parlare di Cocò- perché così lo avremmo poi sempre chiamato- ovunque, ovunque mi sia capitato di poter avere parola. E ancora. Ho promesso che saremmo stati noi- quel noi vero, quella comunità di memoria di cui sono parte- i familiari di Cocò. Perché sapevamo che quel sentire dentro di noi era un legame forte con questa terra, un legame non spiegabile che lega la memoria all’impegno. E così, non potevamo lasciar perdere, perché gli occhi grandi e scuri di Cocò sono stati la spinta, la motivazione, quel “ne vale la pena” che fa andare avanti.
Nessuno lo ha scritto, nessuno ne ha fatto notizia. Ma quei quasi 90 ragazzi che hanno fatto veramente domanda per partecipare ad un percorso formativo per la progettazione su un bene confiscato alla ‘ndrangheta hanno compiuto un atto rivoluzionario. Così come tutti coloro che nonostante tutto, nel silenzio, in quel territorio ci son stati prima e ancor più dopo quel 19 gennaio e dopo le delusioni e le ferite delle possibilità mai diventate speranza. Persone che ci sono ancora, e che a fatica costruiscono. A me ancora viene impedito di esserci fisicamente – con motivi per altro, altamente discutibili – ma non ho mai smesso di crederci, di trovare piccoli spazi per raccontare, condividere, fare memoria. 

Rimane la rabbia, perché anche dopo la morte di Cocò, dopo l’interesse che il resto del mondo – Papa compreso- ha avuto per questa vicenda ancora qui si fa fatica. Si fa fatica a restare insieme, a costruire, a scegliere da che parte stare. Si fa fatica persino a aggiungere la parola anti-’ndrangheta quando si organizzano le manifestazioni.

Io faccio fatica, perché quel peso sul petto a me è rimasto, e fa male. Perché sento di non essere stata in grado di mantenere quelle promesse come avrei voluto. Ma continuo a crederci.
Ora che c’è bisogno di fiducia, di possibile che diventa speranza e realtà. Continuo a crederci perché so che c’è chi non guarderà sé stesso riflesso nello specchio mediatico, so che c’è chi agisce e vive in Calabria pensando a Cocò, a tutte le vittime innocenti della ‘ndrangheta. Perché solo così, ripartendo da quei legami con le storie, con le persone, quel sentirsi parte, sentirsi familiari, potremmo sognare di costruire percorsi di liberazione e di libertà. 

Lezioni di antimafia Sconfiggere la mafia. Chiunque può fare qualcosa
 Il diritto di avere diritti in Calabria
27 marzo 2017

Il diritto di avere diritti. Radio Popolare

sabato 6 gennaio 2018

Buon 2018 tutto da scrivere...



Io scriverò 

perché a volte ho mostrato anche i denti

perché non potevo vivere altrimenti

io scriverò sul mondo e sulle sue brutture

sulla mia immagine pubblica e sulle camere oscure

sul mio passato e sulle mie paure.

(Rino Gaetano, Io scriverò) 

Ci penso da qualche tempo, ci penso da quando era diventato un peso che ricordava delusioni e dolori. Ci penso quando tutti intorno ti ricordano che devi produrre di più per superare asticine immaginarie intorno alle quali stiamo costruendo le nostre vite di ricercatrici precarie. 
Ci penso per forza, da un pò. In molti me lo hanno ricordato, e vi ringrazio.
Ma scrivere vuol dire riconoscersi serene e tranquille di quello che si decide di mandare come messaggi, nella bottiglia. 
Quella serenità e sicurezza che mi sono lasciata portar via da logiche che mai capirò, e che mai giustificherò. Sono stata ferma sei lunghi mesi, e li ho attraversati tutti. 
Ora ci riprovo, perchè ci sono donne che come me corrono coi lupi che me lo hanno ancora una volta ricordato. Scrivere, perchè è il nostro modo di raccontare, di cambiare narrazioni e di trasformarci, come sempre, partendo da noi. 

Buon 2018 tutto da scrivere...