“Ricordare il passato
può dare origine ad intuizioni pericolose, e la società stabilita sembra temere
i contenuti sovversivi della memoria. Ricordare è un modo di dissociarsi dai
fatti come sono… e negli eventi personali dell’individuo si affermano le paure
e le aspirazioni dell’umanità- l’universale ed il particolare” (Marcuse 1967).
Una comunità di memoria.
Negli ultimi anni ho conosciuto
le storie di tante donne e uomini che in Calabria (e non solo) hanno vissuto
vite ordinarie, normali, quotidiane. Storie di persone uccise dalla mano
‘ndranghetista, accomunate dalla violenza di un potere che decide di non far vivere più. Storie di morte, ma storie di vita. La “comunità di memoria” di cui
ho fatto parte e di cui mi sento parte, è stato lo spazio della condivisione di
piccole storie, della creazione di legami forti radicati nel terreno comune
della dignità. I familiari delle vittime innocenti della ’ndrangheta
rappresentano quel monito vivente per una terra che fa fatica a ricordare.
Perché ricordare è un atto di grande responsabilità: perché quelle morti sono
ferite aperte per chi continua a chiedere verità e giustizia; perché sappiamo
che potevano essere evitate; perché dovremmo impegnarci affinché non possa più
accadere. E non solo. Ricordare è fare i conti con un potere che nega agli
individui il riconoscimento in quanto donne e uomini liberi. Ricordare è un
percorso formativo, fatto di ascolto, di narrazione, di letture, di carte e di
emozioni. È una fatica, è una cura: nella scelta delle parole per dire, dei
silenzi da cogliere, nei modi e nello stile del rispetto di un dolore che è
intimo, personale, innominabile. Nel rispetto e nella cura, rientra quel grande
sentimento di riconoscenza e gratitudine che a loro dobbiamo. Perché prendendoci
per mano, nel rispetto dei tempi e dei modi di ognuna e ognuno, ci stanno
accompagnando nell'attraversare quel ponte dal privato al pubblico, per farne
memoria collettiva. I familiari delle vittime innocenti non devono essere semplicemente chiamati "vittime": non lo sono. Lo stanno
ripetendo in tutti i modi: sono cittadine e cittadini che vogliono vivere il
loro ricordo traducendolo in quotidiane e piccole attività cariche di etica, di
responsabilità, di dignità e di libertà.
Il cui contenuto sovversivo non dobbiamo temere, anzi.
Demetrio Quattrone.
La storia della Calabria può
essere contro-narrata a partire dalla storia di chi è stato ucciso. Una
contro-narrazione rispetto al grande narrazione che il potere stesso vuole
mantenere.
Tra queste storie, quella di
Demetrio Quattrone. Dopo 25 anni dal suo omicidio, ieri per la prima volta c’è
stato chi ne ha voluto parlare in una dimensione mediatica nuova. Ci sono
voluti due bravi giornalisti, Pietro Comito e Agostino Pantano, per raccogliere
questa storia, accoglierne il ricordo e coglierne il senso profondo di un
impegno e di un legame con la storia di questa terra.
Io penso che per conoscere
Demetrio Quattrone bisogna rileggere le sue parole, chiare e terribilmente
attuali. Sono gli anni ’90 e Mimmo (come tutti lo chiamavano) era un ispettore
del lavoro, ingegnere di 42 anni, che non smette di denunciare quanto accadeva
a Reggio Calabria. Così scrive:
“Il partito dei palazzinari a
Reggio governa la città. Come si diceva, l’affare assicurato periodicamente e
senza programmazione dallo Stato porta flussi di denaro che non vengono
reinvestiti nell’azienda che avrebbe dovuto produrre il bene oggetto
dell’appalto. Detti flussi di denaro vengono trasformati in “cemento” da
vendere poi alla classe impiegatizia, molto numerosa, reggina. Ma indirizzare
il mercato verso queste scelte (casa edificata dal palazzinaro) significa fare
in modo che l’offerta sia la più piccola possibile. Da qui il partito dei
palazzinari ha una scelta quasi obbligata: bloccare con sistemi di potere
l’attività degli uffici comunali preposti alla progettazione dell’uso del
territorio. Si arriva a bloccare le progettazioni di cittadini fuori dal giro
dei palazzinari per anni, facendo “passare” le progettazioni del partito dei
palazzinari stessi. Parole che da sole bastano per descrivere quel meccanismo
di trasformazione del denaro in cemento attraverso un sistema di relazioni
conniventi e conviventi”.
Parole chiare, che spiegano con
semplicità meccanismi complessi di riciclaggio, corruzione, collusione, reati
ambientali. Per queste parole e per tutte quelle che ha avuto il coraggio,
l’etica e la serietà professionale di scrivere, Demetrio viene ucciso il 28
settembre 1991, insieme al suo amico Nicola Soverino. Negli stessi anni, la
mafia del cemento uccide il vigile Macheda (impegnato nella lotta contro l’abusivismo
edilizio) e l’imprenditore edile Polifroni (dopo anni di resistenza alle
richieste estorsive e di denuncia).
Memoria, amicizia, libertà
Conosco Rosa Quattrone da anni.
Da lei e con lei ho imparato che la ndrangheta si combatte anche a partire
dall’estetica, dalla bellezza, dalle scelte urbane e urbanistiche, dai colori.
Ho imparato che l’etica della professione fa parte integrante della memoria,
che essere architetti in Calabria significa costruire bellezza, contro il
brutto della ’ndrangheta. Con lei ho imparato la fatica del riconoscimento, il
peso di un cognome visto da chi sa che è una che darà fastidio, per cui niente
progetti su cui lavorare. Con lei ho condiviso lacrime di rabbia e di
delusione, ma anche interminabili giornate di allegria, festa, gioia. Fino alla
condivisione delle gioie più grandi, l’ultima la nascita della piccola Alice.
Con Rosa, Nino, Maria Giovanna, e ora con Christian e Alice ho imparato che la
libertà ha il loro volto.
Ci sono tanti modi per salutarsi.
Tanti modi per augurare ad una amica Buon Viaggio.
Tanti modi per ricordarle
che niente è stato vano, che bisogna ripartire dalle ferite per ricominciare.
Per augurare una nuova buona vita. Per dirci che ci vogliamo bene. Ieri Pietro
e Agostino mi hanno permesso di regalare a me stessa e alla mia terra la storia
di Demetrio, e di Rosa. A Rosa questa terra deve molto, e spero che un giorno
se ne possa rendere conto.
Buon viaggio amica mia, si parte, ma per
tornare. Ogni luogo sarà quello del ricordo, della memoria che non è slogan, ma
è vita. E’ libertà. Così come diceva il tuo papà:
“L’uomo non è né stupido né
intelligente. O è libero o non lo è. All’ infuori della libertà non si ha
niente”
Per approfondire:
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